Newsletter Subscribe
Enter your email address below and subscribe to our newsletter
Enter your email address below and subscribe to our newsletter

La Dichiarazione di Cork del 1996, frutto della Conferenza Europea sullo Sviluppo Rurale, costituisce un importante punto di riferimento nella riforma copernicana della PAC e segna la via da seguire in termini di sviluppo rurale.

La Dichiarazione di Cork del 1996, frutto della Conferenza Europea sullo Sviluppo Rurale, costituisce un importante punto di riferimento nella riforma copernicana della PAC e segna la via da seguire in termini di sviluppo rurale.
La Dichiarazione di Cork ha evidenziato il declino dell’ importanza dell’agricoltura e delle foreste nell’economia europea, ed ha stabilito che lo sviluppo che si intende promuovere deve essere armonico, equilibrato e duraturo in termini di integrazione e differenziazione delle attività economiche.
Deve puntare ad un alto livello di occupazione, all’uguaglianza tra uomini e donne, e ad un elevato grado di miglioramento e tutela dell’ambiente.
Inoltre viene stabilito che le aree rurali delle diverse regioni debbono divenire luoghi più attraenti, sia dal punto di vista economico che sociale, sia per la creazione di lavoro, come per la vita umana in generale.
L’oggetto dello sviluppo rurale diviene, pertanto, il contesto socio-economico nella sua complessità; da ciò deriva l’importanza di fattori ambientali, culturali e sociali. Fattori che rientrano, quindi a pieno titolo in quei fattori che, anche in senso produttivo ed economico incidono sullo sviluppo del territorio e pertanto devono essere letti ed interpretati in termini simbiotici e cooperanti con l’agricoltura.
Il risultato è la Riforma dell’Agenda 2000, nell’anno 1999, che ha reso la Politica di Sviluppo Rurale il secondo pilastro della PAC, e che sancisce i seguenti punti fondamentali:
● Multifunzionalità dell’agricoltura, cioè il pieno riconoscimento delle diverse funzioni che la stessa svolge in aggiunta alla produzione alimentare. Ciò implica il riconoscimento dell’ampia gamma di servizi forniti dagli agricoltori e la promozione di tali attività
● Approccio multisettoriale ed integrato all’economia rurale al fine di diversificare attività, creare nuove fonti di reddito e occupazione e proteggere il patrimonio rurale.
● Flessibilità degli aiuti allo sviluppo rurale sulla base del principio di sussidiarietà per favorire il decentramento delle decisioni, e la consultazione con le regioni come metodo di lavoro.
Le politiche di sviluppo rurale sono state la causa e la conseguenza di alcuni cambiamenti dell’ambiente rurale e la concezione condivisa di una nuova ruralità; all’interno del processo di rigenerazione dell’economia rurale l’accento è stato posto sulle attività non agricole nelle aree rurali e sulla centralità del fattore ambientale e naturalistico.
Questa piccola sintesi storico-argomentativa ha rappresentato un importante momento di contestualizzazione ed approfondimento nel seminario-laboratorio del 3 luglio promosso dall’Associazione OR.T.I.C.A., volto ad integrare le chiavi di lettura contemporanee con una percezione consuetudinaria che ancora legge ed interpreta lo sviluppo rurale in un’ottica ed una connessione esclusivamente agricola.
Come emerso dalla narrazione e dallo storytelling della Dottoressa Guarino il paesaggio rurale, lo sviluppo locale vanno, invece, analizzati, progettati e praticati in una fortissima dialettica costituente ed in un rapporto simbiotico e reciprocamente virtuoso tra economia materiale ed economia immateriale.
Le pieghe, le sfumature, i volti, i colori ed i sapori di un territorio rappresentano una texture, un ordito fatto di singoli filamenti, che sono le storie e la storia di un paesaggio.
Gli scorci, i sentieri, i vicoli di un paesaggio sono fattori unici in grado di veicolare, di promuovere e di far vivere un marchio, un senso comune, un’esperienza, da vivere, da indossare, da comunicare. Fattori di un processo esperienziale singolo o comune, che è generato da un oggetto di artigianato, da un capo, da un sapore.
Un percorso ed un processo esperienziale che trova piena compiutezza nell’attraversare un paesaggio, nel vivere i momenti, gli attimi, di storia e di cultura di un borgo e/o di una comunità. Attraversare la campagna francese rimanda immediatamente ad una tela di Camille Pisarro o di Renoir, guardare alcuni quadri di Monet ci porta l’odore del mare. Questa connessione di sinapsi, questi processi culturali, esperienziali, sono espressione immateriale dell’idea di paesaggio.
In particolare di quel turismo rurale che esprime e delinea compiutamente l’importanza della multifunzionalità; ed il laboratorio del 3 luglio tra idee, escursioni sul campo, degustazioni, scorci e sentieri ha condensato la fenomenologia della rural experience.
Ciò anche grazie al contributo ed al supporto (anche logistico) offerto dall’Associazione Antico Confine di Pastena e da GEAN, grazie a cui è stato possibile comprendere pienamente le potenzialità di cui è portatore l’equiturismo per il territorio del GAL Terre di Argil.
L’equiturismo è una forma di turismo lento che produce mobilità, sia per giungere al luogo di svolgimento dell’attività sia per effettuarla, e che coinvolge più soggetti che forniscono o fruiscono dei beni e servizi (Meneghello, 2020).
Tuttavia, è possibile interrogarsi su quali siano i criteri per provare a individuare e riconoscere l’equiturismo: è una pratica di turismo lento, che a sua volta crea altre forme di mobilità, come arrivare al luogo dove effettuare l’attività, e mette in moto una catena di persone, fornitori e fruitori di beni e servizi; mette in gioco il rapporto tra due esseri viventi, l’essere umano e il cavallo; si pratica in contesti rurali, prevalentemente lontano dalle città e dai grandi centri abitati; prevede la presenza obbligatoria di una guida esperta; attira e coinvolge turisti esperti, appassionati e curiosi.
La modalità laboratoriale di domenica 3 luglio – oltre ad offrire il senso compiuto del progetto di informazione “Scoprendo Argil, tra strade e sentieri” – ha permesso di capire e far emergere sino in fondo la funzione socio-culturale dell’equiturismo.
Su questo aspetto e su altri spunti sul tema dell’equiturismo – oltre al fondamentale contributo delle 2 associazioni precedentemente citate – è risultata una vera miniera d’oro lo studio elaborato dalla Dottoressa Giulia Terilli dell’Università di Padova.
Il fattore sociale dell’equiturismo può essere inteso e identificato come un elemento chiave per spingere e promuovere all’esterno le mobilità con i cavalli, in grado di coinvolgere chiunque, appassionati, curiosi, amatori ed esperti cavalieri ed amazzoni. Non solo radunando le persone intorno a questi animali ma anche veicolando all’esterno la possibilità di collaborare con lavoratori di altri settori, creando un’ampia rete e permettendo a tutti di beneficiare delle entrate dell’equiturismo.
Un esempio, già citato, è di organizzare trekking con pausa pranzo presso strutture di ristorazione tipiche del luogo, che producono e servono piatti locali oppure destinare parte del ricavato delle passeggiate ad associazioni, onlus, enti che praticano volontariato.